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19 ottobre 2012 5 19 /10 /ottobre /2012 12:41

Preghiera  e  Deserto

 

Il Salmo 107 ci trasporta nella sua risonanza evocativa all’evento del deserto, dove i riscattati dalla bontà del Signore celebrano la sua bontà ed il suo provvidente amore.

 

Il deserto è fare i conti con l’essenzialità dell’esistenza: molte cose che a noi sembrano indispensabili, nella situazione che si esperimenta nel deserto, diventano inutili anzi spesso soffocano e non permettono il procedere verso la meta.

 

Leggiamo i primi nove versetti di questo Salmo:

 

“Celebrate il Signore, perché Egli è buono,

perché la sua bontà dura in eterno!

Così dicano i riscattati del Signore,

ch’Egli liberò dalla mano dell' avversario

e riunì da tutti i paesi, da oriente e da occidente,

da settentrione e da mezzogiorno.

Essi vagavano nel deserto per vie desolate;

non trovavano città dove poter abitare.

Soffrivano la fame e la sete,

l' anima veniva meno in loro.

Ma nella loro angoscia gridarono al Signore

ed Egli li liberò dalle loro tribolazioni.

Li condusse per la retta via,

perché giungessero a una città da abitare.

Celebrino il Signore per la sua bontà

e per i suoi prodigi in favore degli uomini!

Poiché Egli ha ristorato l' anima assetata

e ha colmato di beni l' anima affamata”.


Le richieste che innalziamo in questo Salmo a Dio, toccano i bisogni primari della sopravvivenza: il poter vivere diventa autentica ed essenziale preghiera.

Nondimeno, in ogni coinvolgente esperienza di preghiera, in quanto pregare è saper guardare verso gli orizzonti del vivere o negli abissi formidabili del Cielo, c’è sempre lo scontro con il deserto, che con la sua forza, al contempo, esalta e sconcerta.

 

Entrare nel deserto, infatti, significa entrare nella provvisorietà, nel bisogno e nel cammino, per aprire il proprio spirito ai grandi ideali.

Vivere per conseguire una meta.

 

Ad esempio, per gli Ebrei, il deserto è stato l’intermezzo tra il primo passo, quello della partenza dall’Egitto “uscire” e l’ultimo, quello dell’arrivo, cioè “entrare” nella terra promessa.

 

Sotto il simbolo-realtà del deserto si nasconde una componente ineliminabile d’ogni “uscire ed entrare”, il tempo che intercorre tra un momento e l’altro, il tempo di mezzo.

 

deserto.jpg Il deserto come realtà intermedia è  ricorrente     nella nostra esperienza umana.

 

  È il fidanzamento, tempo intermedio tra un incontro, tra un ideale, e la sua piena realizzazione.

 

Guai, però, se il fidanzamento diventasse solo attesa!

Esso è approfondimento di conoscenza reciproca, di amore e di odio, di maturazione interiore.

 

 

Il deserto indica, pertanto, il cammino: un cammino fatto di azioni concrete, non di parole, verso un futuro ideale.

 

Ciò è valido anche nel piano politico. Ad esempio il sistema, vagheggiato da Marx, è costituito dall’uscire dalla situazione precedente (sfruttamento del proletariato), e, attraverso la lotta di classe,    costituita dalla dittatura del proletariato, per giungere (entrare) al vagheggiato paradiso in terra.

 

In tale situazione di “uscire ed entrare” si denota anche l’esperienza sociologica della migrazione   coi relativi trapassi di cultura e di mentalità; problema quanto mai attuale.

 

L’uscire e l’entrare ha inoltre, un valore esistenziale, quando descrive le scelte di vita di una persona, che lascia una situazione, magari accettata e amata, per impegnarsi in un’avventura, in un’impresa rischiosa.

 

Infine l’uscire ed entrare contiene l’aspetto religioso della conversione, che è passaggio dal peccato alla grazia, e della vocazione, che è una partenza, un andare per una missione.

 

C’è un pericolo nell’andare nel deserto: dimenticare che ci troviamo nella provvisorietà, dimenticare che è un periodo d’instabilità, che deve tendere all’ideale propostoci.

 

C’è, in altre parole, nel deserto, la tentazione di adagiarsi sul provvisorio e, subendone il fascino, crederlo definitivo. Se ci accadesse ciò, la nostra preghiera diventerebbe espressione di un cuore chiuso ai piccoli avvenimenti d’ogni giorno, ricerca senza speranza.

 

La preghiera nel deserto, invece, è una preghiera, che si apre ai grandi ideali, che cerca la Gerusalemme celeste, l’incontro con il Padre, nel Santuario del Cielo.

 

L’uomo, nel deserto, essendo proteso verso le necessità fondamentali, l’acqua e il cibo, dimentica le sovrastrutture e gli pseudo-problemi e diventa persona essenziale, pronta a cogliere la sostanza e la verità delle cose.

 

Se dubitare denota sempre una mancanza di fede, nel deserto, dubitare è già “contendere con il Signore”.

Attenzione! Il lamento che Israele eleva a Dio, il soffocato lamento di Elia, che sotto la ginestra vuole lasciarsi morire, sono eventi, che sorgono dall’aver fatto del deserto, non un cammino, ma una opzione di vita. 

Il lamento è sempre costituito dagli elementi delle pretese umane:

 

·        Il solito interrogativo radicale: perché?

 

·            Si deforma il sentiero, che ci porta verso Gerusalemme.

Esso è un sentiero verso la vita, la gioia, al contrario ecco il lamento: “Ci ha fatto uscire dal paese d’Egitto…per farci morire”.

 

·       Si finisce nella disperazione, nella rinuncia: “Magari fossimo morti!”

 

Quando, invece, la scelta di camminare con Dio è esplicita, l’itinerario nel deserto si trasforma in un andare gioioso, che porta l’uomo dai meandri della vita, in cui si trova disperso, alla sua indimenticabile Gerusalemme.

 

Il libro di Isaia esalta il ritorno degli esiliati di Babilonia come un passaggio esodico tra valli fiorite e paesaggi verdeggianti.

 

Il deserto dell’esistenza umana, questo stadio intermedio tra l’uscire e l’entrare, può essere percorso da una corrente di vita e di gioia.

I vocaboli della felicità si accavallano sulle labbra del profeta.

Questa gioia sarà nostra, ne faremo intima esperienza, se personalmente accettiamo il Signore nella nostra vita, se Dio diventa davvero il nostro interesse supremo, il nostro supremo Amore.

 

“Il deserto e la terra arida si rallegreranno,

la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa;

si coprirà di fiori, festeggerà con gioia e canti d' esultanza;

le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmelo e di Saron.

Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.

Fortificate le mani infiacchite, rafforzate le ginocchia vacillanti!

Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: «Siate forti, non temete!

Ecco il vostro Dio! …Verrà Egli stesso a salvarvi!»

……………………………

I riscattati dal Signore torneranno,

 verranno a Sion con canti di gioia;

una gioia eterna coronerà il loro capo;

 otterranno gioia e letizia; il dolore e il gemito scompariranno”

                                                                             (Isaia 35: 1 - 4, 10).

     

      In una visione spirituale della vita,

il simbolo del deserto che cosa indica? 

 

                                    Indica il tempo intermedio, il tempo di mezzo,

                                    ed entrare nel deserto è prendere coscienza della propria provvisorietà,

                                   della propria creaturalità, del nostro essere creature.

 

Che cosa ci fa comprendere

l’esperienza del deserto?

 

                                           Comprendiamo ciò che è essenziale nella vita.

                                           Nel deserto cadono le sovrastrutture

                                           e gli pseudo-problemi che spesso ci creiamo nella nostra esistenza.

 

Qual è il segreto della gioia nel cristiano?

 

                                    La scelta interiore ed esplicita di camminare con Dio;

                                    il deserto della vita si trasforma, allora, in un sentiero verdeggiante,

                                    che ci conduce a Gerusalemme,

                                    dove c’è la dimora di Dio, il Santuario

                                           della sua presenza, nella dinamicità

                                           della sua grazia, della sua bontà, del suo Amore.

 

Chiariamo che:

a.     Un periodo di deserto non è sinonimo di ritiro spirituale.

b.     Ogni luogo, infatti, porta in sé un significato spirituale

      nella misura in cui contribuisce a imprimere un segno nel nostro spirito.

c.     Il deserto non è solamente un luogo solitario e silenzioso ma nella sua immensità

      e nel suo vuoto genera quei valori di libertà ed essenzialità, che gli sono propri.

d.     Il deserto porta l’uomo al limite della sua impotenza e l’obbliga a cercare forza in Dio solo.

e    Il deserto porta in sé il segno della povertà, dell’austerità, dell’estrema semplicità,

       della totale insufficienza dell’uomo, che scopre la propria debolezza.

imagesCASJD18JIl deserto, pertanto, è un tentativo di avanzare nudi, deboli, privi di ogni appoggio umano, nel digiuno, verso l’incontro con il Signore. È essenziale in un periodo di deserto lo spogliamento totale e l’attesa serena e silenziosa di Dio.

 

Non potremmo durare a lungo se Dio stesso non ci mandasse il suo cibo come ha fatto per Israele o per Elia, coricato e spossato sotto la ginestra.

 

Chi vuol fare l’esperienza del deserto, deve avere la ferma speranza che Dio verrà a incontrarlo nella preghiera         

e la grazia di questa visita la si ottiene desiderandola con fiducia e gioia. Nondimeno, per ricevere questa grazia, sono necessarie l’umiltà del cuore, il non fare affidamento su se stessi, accettare l’assenza delle consolazioni

e l’austerità.

 

 

Il Signore Gesù ci visiterà nel deserto solo quando ci saremo dimenticati di noi stessi.

                                                                      Non si può sopportare di camminare ogni giorno,

                                                          soli, nel deserto se non si ha il cuore semplice, puro e povero.

 

L’esperienza ci porterà a constatare che noi siamo più tentati nel deserto, e saremmo inclini a concludere che sia meglio evitare di andarvi. No, non saremo più deboli nel deserto che altrove; siamo posti nella condizione di fare una scelta più assoluta e radicale: scelta, le cui alternative, durante la nostra vita abituale, vengono sbiadite dalla molteplicità delle attività quotidiane e da innumerevoli compromessi più o meno coscienti.

 

Solo il deserto è totalmente vero, e nella sua semplice nudità ci pone di fronte all’alternativa: Dio o ciò che non è Lui.

Ed è nel deserto che sorge più vivo il bisogno di una pura preghiera d’intercessione, in quanto prendiamo coscienza che il male è così esteso e l’azione, anche evangelica, così impotente che solo la preghiera pura può vincere.

 

La parola “deserto” per sé indica una grande estensione incolta, inabitata, stepposa, pietrosa o coperta di sabbia.

Anche se molti uomini di Dio hanno scelto per la loro preghiera questo luogo, pensiamo ad Elia, a Giovanni Battista, …, di per sé non è necessaria questa scelta di vita per realizzare in pienezza “La preghiera nel deserto”

Il deserto più che un luogo è una dimensione spirituale, che possiamo concretizzare anche nella nostra casa. Così:

 

9 studiolo beb sicilia[1] 

- Cerca un angolo tranquillo ed un orario che aiuti questa tranquillità.

 -  Certamente devi cercare la solitudine esteriore ed interiore, come    mezzo che ti aiuti a rivedere le tue relazioni con Dio, per mezzo di Gesù, nello Spirito Santo.

- Il deserto non è chiuderti agli altri, è solitudine dove scopri te stesso, gli altri e l’intimità con Dio.

 -  Trovato il tuo angolo tranquillo, siediti e respira lentamente e profondamente.

 Ad esempio: inspira per circa sette secondi. Trattieni il respiro per tre secondi, poi espira lentamente.

Ripeti questo esercizio sei o sette volte.

 

 

Mentre esegui questo esercizio, volendo, puoi ripetere mentalmente alcune giaculatorie, che ti sono care. Inoltre:

 

v      Ricorda che Dio e più intimo a te, di te stesso.

v      Ricorda che Dio è al centro del tuo essere.

v      Ricorda che tu sei stato creato a sua immagine.

v      Ricorda che Dio ha un progetto per te.

v      Ricorda che Dio ti conduce per mano.

v      Apri a Lui il tuo cuore e la tua mente.

v      Chiedi a Dio che volga il suo sguardo sulla tua vita.

v      Chiedi a Dio di darti un cuore, che sappia ascoltare la sua parola.

 

Se hai compiuto con determinazione questo percorso, ti posso assicurare che sei pronto per la tua preghiera compiuta nel deserto.

Forse potrai pensare che Dio non ti ha mai parlato, non ti ha mai detto di andare nel deserto per udire la sua voce. Se fosse così, è perché dentro e fuori di te c’è troppa folla, troppo baccano, troppi problemi, che non hanno permesso alla voce di Dio di giungere fino a te. Allora, ecco, l’esperienza del deserto si fa in te ancora più urgente.

Vivere senza udire i gemiti inenarrabili dello Spirito, che parla al tuo cuore, significa coartare ed imprigionare la propria esistenza alle poche cose che vediamo e sentiamo con i nostri sensi. Significa scegliere l’infelicità d’essere come sepolti  nella fossa della materia e del sensibile.

 

Perché Dio ci chiama a seguirlo nel deserto?

 

Perché possiamo conoscere chi siamo in realtà. Che cosa Dio vuole da noi, qual è il suo piano per la nostra esistenza. Che cosa gli altri ci chiedono e noi dobbiamo dar loro.

 

 “Vieni nel deserto, perché voglio parlare al tuo cuore” (Osea 2: 14).

 

È l’invito che il profeta Osea ricevette da Dio.

È l’invito che il Signore rivolge anche a te.

 

Tante volte sentiamo parlare, quante poche volte invece ascoltiamo colui che ci parla:

 

 - Il sentire tocca le persone alla loro superficie, l’ascoltare raggiunge   l’intimità della persona, raggiunge ciò che chiamiamo “cuore”, l’insieme cioè dei sentimenti, la parte più intima e più nostra di noi stessi.

 

Quando Dio ti parla, parla solo al tuo “cuore”, ad esso è rivolta la sua ineffabile parola. 

 

Che cosa è, pertanto, il deserto?                                              

 

È il luogo privilegiato dell’incontro dell’uomo con Dio.

L’incontro, presuppone una chiamata da parte di Dio, esiste anche se non la percepiamo, ma a questa chiamata deve corrispondere una risposta libera e decisiva dell’uomo.

 

È silenzio, cioè la capacità di far tacere noi, per far parlare finalmente Lui.

 

È riflessione, che ci porta a ritrovare il giusto senso ed il giusto valore delle cose che ci circondano, è trovare il vero senso della vita.

La riflessione è preghiera.

 

È momento di purificazione. La solitudine ed il silenzio ci permettono di entrare in noi stessi, comprendere il nostro limite, la vacuità del peccato e la conseguente determinazione di accettare Gesù nella nostra vita e, con Lui, l’espiazione, la remissione e la salvezza.

 

È ascolto di Dio. Purificato, l’uomo diventa capace di ascoltare Dio, e il deserto diventa momento della rivelazione

 

È segno di speranza. In quanto momento di passaggio.

Israele viene condotto attraverso il deserto nella terra promessa.

La Chiesa è nel deserto finché non si unirà al suo Signore,

come la Gerusalemme celeste, di cui ci parla l’Apocalisse.

Il deserto è il luogo ed il tempo del fidanzamento.

 

Se vogliamo incontrare Cristo realmente nella nostra vita ed innalzare a Dio una lode perfetta, dobbiamo addentrarci sempre più nel deserto; questo non significa che non dobbiamo sentire

il disagio di una tale scelta: ogni chiamata di Dio comporta un certo disagio,

perché comporta un impegno totale, ma non dobbiamo temere, perché Dio è con noi.

 

Dunque che cosa significa andare nel deserto?

 

·         Significa riconoscere progressivamente la nostra insufficienza e scoprire di non poter far nulla senza il Cristo e di conseguenza farlo entrare nella nostra vita e chiedere a Lui il significato del nostro vivere, senza di Lui tutto è passeggero ed illusorio.

Come puoi essere luce agli altri, se tu in te stesso non possiedi la luce?

Dobbiamo trovare nella nostra giornata, in ogni nostra giornata, un momento di deserto.

Non far passare un solo giorno, senza aver messo a tacere tutto,

per poter ascoltare il Tutto e parlare con Lui.

 

Un uomo di Dio secoli fa gridava: Mio Dio, mio Tutto.

Che il Tutto, che è Dio, prenda totalmente possesso della nostra persona e della nostra vita!

 

Allora la preghiera si farà semplice e pura e andrà diritta al cuore di Dio.

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3 agosto 2012 5 03 /08 /agosto /2012 17:41

La preghiera è un’attività spirituale

·       che il nostro cuore ricerca,

·       che coltiva rapporti vitali con Dio,

·       che crea un’atmosfera, in cui sia possibile una vita autenticamente cristiana,

      dando a Dio la maggiore gloria.

 

L’uomo che prega deve possedere alcune qualità interiori, quali:

 

a.       La Fiducia in Dio

 

“E tutte le cose

 che domanderete nella preghiera,

se avete fede, le otterrete”  (Mt  21:  22).

 

b.      La capacità di perdonare

      le ingiurie ricevute

 

“Quando vi mettete a pregare,

se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate;

affinché il Padre vostro, che è nei cieli,

vi perdoni…” (Mc  11:  25).

 

c.       La riconoscenza

 

“Perseverate nella preghiera,

vegliando in essa,

con rendimento di grazie” (Colossesi  4: 2).

 

d.      La tranquillità interiore

 

La pace nello Spirito.

L’orante è, in definitiva, un testimone del Dio vivente.

La fede esplicita è la nostra relazione con Dio, quando Lo invochiamo, chiamandolo Padre, Madre, Sposo, Pastore, Amico…fino a rivolgerci a Lui come “Dio di Gesù Cristo”; e la tradizione cristiana invocherà Dio, quale Trinità di Persone: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

 

La Trinità è l’unico nome, che racchiude in sé tutti gli altri nomi, che ci comunicano qualcosa della infinita e multiforme ricchezza di relazioni interpersonali, che Dio ha in se stesso, nella sua intima realtà, e nei riguardi delle sue creature.

La Preghiera è possibile a determinate condizioni:

 

a.   È necessario darsi un tempo per la preghiera

 

Ogni persona che desideri avere una soddisfacente vita spirituale,                                       deve programmare nella sua giornata un congruo tempo da dedicare alla preghiera.

 

b.    Ci abbisogna un luogo, che diventi un po’ il nostro santuario personale,

      dove intrecciare il colloquio con Dio.

 

      Un luogo che aiuti il raccoglimento:

      ad esempio, un angolo tranquillo

      della propria casa.

      D’estate, per chi ne ha la possibilità,

      potrebbe essere ideale isolarsi

      tra gli alberi di un bosco, una pineta od altro.

      La solitudine e il silenzio sono indispensabili,

      a  meno che non si è in un gruppo

      e si desideri meditare insieme.

 

c.   Le preghiere devono essere in accordo con la volontà di Dio.

 

 

 “Se domandiamo qualche cosa,

 secondo la sua volontà,

                Egli ci esaudirà”(1 Gv 5: 14).           

 

   Dobbiamo acquistare il discernimento

   della volontà di Dio:

 

   “Non agite con leggerezza,

    ma cercate di ben capire

    quale sia la volontà del Signore” (Efesini  5:  17)

 

          Ricordiamo infine Gesù nel Getsemani:

    

         “Non come voglio, ma come vuoi tu” 

                               (Leggere:  Mt 26:  38 - 42).

 

d.   Le preghiere devono essere espresse con cuore integro.

(Coscienti che Chi le ode, conosce i nostri pensieri nascosti

 e discerne i moventi delle nostre richieste):

 

“Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore,

           ma la preghiera degli uomini retti gli è gradita” (Proverbi  15:  8).

 

          “Egli non ricuserà alcun bene

           a quelli che camminano nell’integrità” (Salmo  84: 11).

     

 

e.  “Io pregherò con lo Spirito    (1 Corinzi  14:  15).

 

Per pregare con lo Spirito, bisogna che lo Spirito Santo agisca in noi liberamente, che non sia rattristato.

Il divino Consolatore, che ci guida in tutta verità (Gv 16: 13), dirigerà le nostre richieste, affinché siano secondo il pensiero e per la gloria del Signore.

Dobbiamo lasciare, dopo aver raggiunto un’adeguata concentrazione, che lo Spirito Santo si esprima dentro di noi e sia Lui a dirigere il nostro dialogo con Dio-Padre. Allora ci accorgeremo che come un fiume di parole inonderà la nostra mente ed avremo la sensazione sublime della vicinanza di Dio.

              

E non sarà il dio-idolo, che spesso concepiamo nella nostra mente, bensì Iddio infinito, eterno ed onnipresente, nel quale, elevandoci, verremo come assorbiti e vivremo di Lui, dimenticando il nostro tempo ed il nostro spazio.

 

f.    “Pregherò anche con intelligenza   (1 Cor  14:  15).

L’intelligenza umana talvolta può essere un impedimento all’orazione, se eccita l’orgoglio, mentre è un valido aiuto se viene messa al servizio della pietà e viene guidata dall’azione dello Spirito.

 

g.    È indispensabile dare alla Bibbia un posto nel decorso della nostra preghiera:

 

Parlare a Dio con parole suscitate dalla lettura assidua del Sacro Testo

 

h.   Quando preghiamo dobbiamo essere assolutamente veri e sinceri.

Spesso rivolgiamo a Dio delle parole non perché siamo  convinti di ciò che diciamo, ma solo perché abituati a dire così.

 

Bisogna esprimere a Dio, sempre ed in ogni circostanza

la nostra vera situazione attuale.

 

 

i.   Nella preghiera è necessario essere perseveranti.

 

 “Siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione,

                   perseveranti nella preghiera” (Romani  12: 12).

         

          Nella prima comunità di Gerusalemme: i credenti

“Erano perseveranti nell’ascoltare

l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna,

nella frazione del pane e nelle preghiere” (Atti  2: 42).

 

 

 j.    Per la “Preghiera Collettiva” una condizione è di fondamentale importanza: l’accordo nelle cose richieste:

 

 “Se due di voi s’accordano nel domandare…” (Matteo  18: 19).

 

   Perseveravano concordi nella preghiera” (Atti 1: 14).

 

        “Rendete perfetta la mia gioia,

avendo un medesimo pensare, un medesimo  amore,

essendo di un animo solo e di un unico sentimento” (Filippesi  2: 2).

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2 agosto 2012 4 02 /08 /agosto /2012 16:01

La Bibbia ci insegna:

  

“Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito,

con ogni preghiera e supplica;

 vegliate a questo scopo con ogni perseveranza.

 Pregate per tutti i santi”  (Efesini  6: 18).

 

“Non angustiatevi di nulla,

ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio

in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti” (Filippesi  4: 6).

 

 

Le preghiere possono assumere diverse forme a seconda delle circostanze:

 

Domanda  -  è  la preghiera nella quale esponiamo a Dio

                                   ciò che vogliamo che Egli faccia per noi.

 

La domanda del perdono è il primo moto della preghiera di domanda. Essa è preliminare ad una preghiera giusta e pura.

 

Laod. Laod. preghieraLa domanda cristiana è imperniata sul desiderio e sulla ricerca del Regno:

 

“Venga il tuo Regno”

 

È necessario accoglierlo in noi per cooperare al suo avvento.

Quando si accoglie in noi l’amore salvifico di Dio nell’attesa, nella preghiera e nella predicazione del Regno, si comprende come ogni necessità possa diventare oggetto di domanda.

 

Nella domanda, infatti, noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio: in quanto creature, non siamo noi il nostro principio, né siamo padroni delle avversità, né siamo il nostro ultimo fine.

 

Inoltre, essendo peccatori, noi ci allontaniamo da Dio e il domandare è già un ritorno a Lui.

 

Cristo che tutto ha assunto al fine di tutto redimere, è glorificato dalle domande che noi rivolgiamo al Padre nel suo nome.

     

 

Supplica  -  è una preghiera ardente ed insistente,                                

                           espressa nella consapevolezza che Colui al quale

                          la presentiamo è potente ed è il Solo in grado di rispondervi.

 

Nella supplica è implicita l’istanza dell’urgente necessità di ricevere la cosa che viene richiesta. Sebbene l’orante deve sempre porsi in un atteggiamento di umiltà e sottomissione alla volontà di Dio.

 

“O mio Dio, inclina il tuo orecchio

 e ascolta!

Apri gli occhi

e guarda la nostra desolazione,

guarda la città

sulla quale è invocato il tuo nome;

poiché ti supplichiamo,

 fondandoci non sulla nostra giustizia,

ma sulla tua grande misericordia”

                                          (Daniele  9:  18).

 

“Io ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio!

Porgi l’orecchio, o Signore,

 al grido delle mie suppliche” (Salmo  140: 6).

 

A Paolo l’intero universo appariva come un grande campo di battaglia, dove i credenti avrebbero dovuto combattere costumi empi, l’attitudine al peccato e l’invisibile ma potente rete del Male:

 

“Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito,

con ogni preghiera e supplica;

 vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi,

 e anche per me, affinché mi sia dato di parlare apertamente,

 per far conoscere con franchezza il mistero del vangelo”   (Efesini 6: 18, 19).

 

 

 

Implorazione  -  è una preghiera nella quale esprimiamo a Dio

                                               il nostro dolore.

                                     

  Anna, la futura madre di Samuele,

  esprime a Dio la sua afflizione:

“L’eccesso del mio dolore e della mia tristezza,

mi ha fatto parlare fino ad ora” (1 Samuele 1: 16).

 

Nei Salmi sono innumerevoli le implorazioni:

“Dammi ascolto e rispondimi;

mi  lamento senza posa e gemo” (Salmo  55: 2).

 

“Signore, ascolta la mia preghiera

e giunga fino a Te la mia implorazione!”                                                                                                            (Salmo  102: 1ss).

 

 

 

Sospiro  -  l’uomo si pone di fronte a Dio

                        in un momento di grave difficoltà ed angoscia.

                        L’intensità della sofferenza può impedire al credente

                             di esprimere le sue richieste, ma i sospiri che egli fa salire a Dio

                        in tali circostanze sono egualmente uditi ed accolti

                        dalla bontà del Signore.

 

“Non nascondere il tuo orecchio al mio sospiro” (Lamentazioni  3: 56).

 

 

         

Di natura diversa è il sospiro della creazione, presentato da Paolo:

 

“Tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio;

non solo essa, ma anche noi…

gemiamo dentro di noi aspettando…”  (Romani  8:  22,  23).

 

 

Grido  -  appello urgente col quale si richiede un soccorso immediato.

 

Chi grida, se è sano di mente, vuole che la sua richiesta venga udita ed esaudita. L’orante sa che una richiesta rivolta a Dio non c’è bisogno che venga gridata, perché Dio vede nelle viscere dei nostri desideri e delle nostre necessità. Pur nondimeno grida, in quanto nel suo grido dà sfogo alla sua ansia ed a tutta la sua impellente sofferenza.

 

 

 “Io ho gridato al Signore,

dal fondo della mia angoscia

ed Egli mi ha risposto”  (Giona  2: 3).

 

“O Signore, io grido a te da luoghi profondi!

Signore, ascolta il mio grido;

siano le tue orecchie attente al mio grido d’aiuto!”                                                                                                   (Salmo  130: 1, 2).

 

“Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi,

e anche di notte senza interruzione” (Salmo:  22: 2).

 

Il grido di Gesù sulla croce racchiude le grida di tanti uomini e donne che sono oppressi e crocifissi, inchiodati alla croce del loro vivere quotidiano: vita senza luce e senza speranza ed alzano come il Cristo gli occhi al Cielo, cercando lì, nel cuore del Padre, una parola di conforto e di liberazione.

     

 

 

Intercessione  -  chiedere in favore di un altro o di altri, è la prerogativa

                                        di un cuore in sintonia con la misericordia di Gesù.

 

Immagine1La contemplazione dell’intercessione celeste di Cristo ci conduce ad afferrare meglio il significato complessivo della sua preghiera: essa costituisce la sua risposta religiosa al Padre e deve essere vista come un aspetto della sua funzione sacerdotale. Non si può separare il servizio di preghiera dall’ufficio propriamente sacerdotale del Cristo, mediante il quale Egli si offre in sacrificio al Padre sulla croce.

 

La lettera agli Ebrei connette le preghiere e le suppliche di Cristo con il fatto che Egli viene esaudito, come sommo sacerdote e vittima, a motivo della sua pietà ed obbedienza. Inoltre chiarisce assai bene il ruolo celeste che il Signore esercita in nostro favore, come intercessore:

 

“E poiché Gesù era sempre stato fedele

al Padre, Dio lo ascolta.

 Benché fosse il Figlio di Dio,

tuttavia esercitò l’obbedienza

 in quello che dovette patire.

 Dopo essere stato reso perfetto [aver raggiunto la pienezza della sua missione],

 Egli è diventato causa di salvezza eterna

 per tutti coloro che si affidano a Lui.

 Infatti, Dio lo ha proclamato sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek”

                                         (Ebrei 5: 7-10).

 

“Perciò Egli può salvare perfettamente

quelli che per mezzo di Lui

si avvicinano a Dio,

dal momento che vive sempre

 per intercedere per loro” (Ebrei  7: 25).

 

 

 

La lettera ai Romani ribadisce, anche se in una formulazione diversa, lo stesso concetto:

 

“Chi li  (gli eletti) condannerà?

Cristo Gesù è Colui che è morto e, ancor più, è risuscitato,

sta  alla destra di Dio e  intercede per noi” (Romani  8: 34).

 

L’intercessione dei Cristiani partecipa a quella di Cristo e non conosce frontiere:

 

“Per tutti gli uomini…,

per tutti quelli che stanno al potere” (1 Timoteo 2: 1).

 

“Per coloro che perseguitano” (Romani  12: 14).

 

“Per la salvezza di coloro che rifiutano il Vangelo” (Romani  10: 1).

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1 agosto 2012 3 01 /08 /agosto /2012 11:17

Azione di grazie  -  è l’espressione della nostra riconoscenza,

                                                     unita al sentimento che tutto ciò

                                            per cui ringraziamo è frutto della grazia di Dio.

Paolo nella lettera ai Filippesi:

Siano le vostre richieste rese note a Dio

in preghiera e suppliche

con azione di grazie” (Filippesi  4:  6).

 

In quella ai Colossesi:

Essendo radicati e edificati in Lui

 e confermati nella fede…….

abbondando in azioni di grazie”

                                    (Colossesi  2:  7).

 

Tra l’altro l’azione di grazie considera la salvezza dell’uomo già attuata,

e si riferisce quindi a tutti i benefici concessi da Dio.

 

 

Confessione   -   è l’atto per il quale si riconosce un male commesso;

     è preghiera, è colloquio con Dio,

     nel quale si dichiara a Dio il proprio peccato.

                         

Il capitolo 5° del Levitico è esplicito

a riguardo:

“Quando uno dunque si sarà reso colpevole

di una di queste cose,

confesserà il peccato che ha commesso”

                                                   (Levitico  5: 5).

 

L’apostolo Giovanni ci consola dicendoci:

“Se confessiamo i nostri peccati,

Egli è fedele e giusto

da perdonarci e purificarci da ogni iniquità”

                                                   (1 Giovanni  1: 9).

 

Anche il libro dei Proverbi esprime

lo stesso concetto:

“Chi confessa le sue trasgressioni

 e le abbandona, otterrà misericordia”

                                             (Proverbi  28: 1).

 

La lettera di Giacomo ci esorta a confessare le nostre colpe gli uni agli altri:

 

“Confessate i vostri peccati gli uni agli altri,

pregate gli uni per gli altri, affinché siate guariti;

la preghiera del giusto ha una grande efficacia”

                          (Giacomo  5: 6).

Lode  -  la lode consiste nel dire le virtù, le capacità di una persona

                      ed elogiarla.

 

Ne consegue che la preghiera di lode è la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio e dà a Lui gloria, perché Egli è, a prescindere dalle sue opere.

 

Molti Salmi sono inni di lode.

 

Gesù stesso ha espresso lode nei riguardi del Padre:

“Io ti rendo lode, o Padre,

Signore del Cielo e della terra” (Luca  10: 21).

 

Lodare Dio è una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, i quali vedono Dio nella fede prima di vederlo nella gloria.

 

La lode è anche preghiera dello Spirito in noi.

Lo Spirito si unisce al nostro spirito………..

In questa sizigia (unione spirituale) nasce la lode.

 

Paolo nella lettera agli Efesini:

“Siate ricolmi dello Spirito,

intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali,

cantando ed inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (Ef  5: 19).

La Rivelazione delle cose, che devono avvenire, l’Apocalisse, trova la sua più alta espressione nei cantici di lode della liturgia celeste.

 

Le quattro creature viventi, visione simbolica della vita, che stanno davanti al trono di Dio, cantano giorno e notte:

“Santo, santo, santo è il Signore,

 il Dio onnipotente,

che era, che è, che viene”  (Apocalisse  4: 8).

 

E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi dicevano:

“A Colui che siede sul trono ed all’Agnello,

siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”(Apocalisse  5: 13). 

 

Dal trono venne una voce che diceva:

“Lodate il nostro Dio, [Alleluia]

voi tutti suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi”   (Ap  19: 5).

Adorazione   -  l’atto per eccellenza del rendere culto.

 

La creatura può essere lodata, ma l’adorazione è dovuta esclusivamente a Dio.

L’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce:

·         creatura davanti al suo Creatore,

·         redento davanti al Redentore,

·         in via di santificazionedavanti al Santificatore.

 

Non si può accettare la suprema sovranità di Dio senza chiedersi logicamente quale sia la sua volontà, di qui l’atteggiamento di completa disponibilità del credente all’obbedienza.

Queste parole di Isaia possono illuminarci su ciò che Dio vuole da noi:

 

“Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi

 la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male;

imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso,

 fate giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova!

«Poi venite, e discutiamo», dice il Signore: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve;

 anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana.

Se siete disposti a ubbidire, mangerete i frutti migliori del paese;

ma se rifiutate e siete ribelli, sarete divorati dalla spada» (Isaia 1: 16-20).

 

Il grande Agostino diceva di se stesso:

“Perché ti esalti, uomo, di quello che hai ricevuto”

“Perché te ne glori se l’hai ricevuto”

 

Francesco sul monte Subasio, contemplando il cielo gridava:

“Mio Dio, mio tutto, chi sono io, chi se tu!”

 

Il Salmo 8° inizia e termina lodando la grandezza del Signore:

“O Signore, Signore nostro,

quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra!”

ed al versetto 3 un’esplicita confessione di questa immensità di Dio:

“Quand’io considero i tuoi cieli,

 opera delle tue dita,

la luna e le stelle che Tu  hai disposte”.

 

L’adorazione esalta la grandezza di Dio,

che ci ha creati. È la prostrazione dello spirito davanti al re della gloria:

“O porte, alzate i vostri frontoni;

alzatevi, o porte eterne, e il Re di gloria entrerà.

 Chi è questo Re di gloria?

 È il Signore degli eserciti; Egli è il Re di gloria”  

                                                       (Salmo 24: 9, 10).

Onora altresì la potenza del Salvatore, che ci libera dal male.

Davanti a Gesù, che ha preso il libro dalle mani di Dio-Padre per scioglierne i sigilli ed aprirlo, secondo una visione di Giovanni nell’Apocalisse,

le quattro creature viventi ed i ventiquattro anziani si prostrano ed adorano:

“Quand'ebbe preso il libro, le quattro creature viventi

 e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d' oro piene di profumi,

 che sono le preghiere dei santi.

Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo:

«Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli,

 perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio,

 con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua e popolo,

e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti;

 e regneranno sulla terra».

E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono,

alle creature viventi e agli anziani;

e il loro numero era di miriadi di miriadi,

e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce:

 «Degno è l' Agnello, che è stato immolato,

 di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza,

 la forza, l' onore, la gloria e la lode».

………………….

E gli anziani si prostrarono e adorarono.

                                                            (Apocalisse  5: 8 - 14).

 

Considerato nel suo principio eterno, che è Dio stesso come Creatore, il disegno di Dio è oggetto di lode e di adorazione: la lode è puro sguardo verso Dio; l’adorazione vi aggiunge la considerazione dell’uomo, in quanto è creatura tratta dal nulla.

 

L’adorazione è anche silenzio al cospetto di Ihwh.

Qualunque sia il posto in cui ci troviamo, la nostra camera o un grande tempio oppure all’aperto, in ospedale, in carcere o altrove, noi possiamo entrare  immediatamente in presenza dell’altissimo. Sta scritto:

“Silenzio, davanti al Signore, all’Eterno!” (Sofonia 1: 7).

L’Eterno ascolta, l’Eterno risponde.

 

Quando i credenti adorano insieme rispondono al desiderio del cuore di Dio:

“Il Padre cerca adoratori,

che lo adorino in spirito e verità” (Gv  4:  23).

L’adorazione, in quanto disposizione del cuore, non è limitata ad una riunione, indetta per questo scopo, ma deve sempre far parte della nostra vita e della nostra preghiera: la ferma convinzione di ciò che è il Signore per noi, produce un’adorazione costante, che dà un carattere più profondo e vero ad ogni nostra elevazione a Dio.

  L’adorazione del Dio, tre volte santo, ci colma di sicurezza e di gioia.

La Benedizione  -   esprime il moto di fondo della preghiera cristiana:

                                                    è un  incontro di Dio e dell’uomo,

                                          in cui il dono di  Dio e l’accoglienza dell’uomo

                                             si congiungono.

   La preghiera di benedizione, pertanto, è la risposta dell’uomo ai doni di Dio.  

  Poiché Dio benedice con i suoi doni, il cuore dell’uomo può rispondere, benedicendo (dire bene di) Colui che è la sorgente d’ogni dono perfetto, d’ogni benedizione.

Non benediciamo Dio, perché Egli ci ha benedetti, come risposta alla sua benedizione;                      ma abbiamo in noi la capacità di benedire Iddio,  poiché siamo stati da Lui già benedetti.

Quando Dio benedice, attualizza (rende concreto) l’oggetto della sua benedizione:  benedire da parte di Dio è anche beneficare.

 

~·~

 

Terminiamo con una nota della scrittrice, Elena White, che ci ricorda il valore delle nostre preghiere, quando sono compiute nel nome di Gesù:

 

“Pregare nel nome di Gesù

è molto di più che ricordare questo nome

alla fine della preghiera.

Significa pregare secondo il pensiero e lo spirito di Gesù,

credendo nelle sue promesse,

contando sulla sua grazia,

compiendo le sue opere”  (E. White).

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10 luglio 2012 2 10 /07 /luglio /2012 09:58

Gradi della Preghiera

 

 

La preghiera è incontro e dialogo con Dio, che si fa sempre più intimo e personale man mano che procediamo nella nostra evoluzione spirituale.

Chiese CristianePer tutti noi è necessaria sempre una riscoperta della preghiera, cioè dobbiamo ogni giorno di più imparare a pregare.

Si prega poco, si prega male e molti aspettano il Culto per pregare.

Sarebbe una benedizione, se tutte le nostre comunità cristiane diventassero autentiche scuole di preghiera. Ritengo che ogni programmazione pastorale dovrebbe sentire l’urgenza di predicare la preghiera.

Il primo passo che ci apre alla preghiera è voler veramente pregare, poi capire con chiarezza qual è l’essenza della preghiera, infine prendere abitudini nuove, costanti e profonde.

Uno degli impedimenti ricorrenti nella preghiera è la distrazione: forse è normale avere delle distrazioni, essere, però, abitualmente distratti è offesa a Dio.

Dobbiamo abituarci al silenzio interiore, cioè a isolarci dalle varie cose, che tessono la vita di ogni giorno, e concentrarci unicamente in Dio. Tuttavia ciò è possibile soltanto quando Dio diventa il nostro interesse supremo.

Sant’Agostino asserisce che Dio preferisce l’abbaiare dei cani ad una lettura distratta dei Salmi.

Se non ci si allena alla concentrazione, avremo una preghiera che non si eleva dal profondo del cuore.

Incontrare Dio è colloquio, è dialogo con Lui e deve dare carattere e colore a tutta la nostra giornata e a tutte le nostre azioni.

La preghiera non deve essere vista come un dovere ma un bisogno, una necessità, un dono, una gioia, un riposo.

Quando Gesù ci ha insegnato a pregare, ha detto una cosa affascinante:

“Quando pregate, dite: Padre” .

Gesù in pratica ci ha spiegato che pregare è entrare in rapporto affettuoso e filiale con Dio.

 Pregare è incontrare Dio da figli.

Questa è la prima tappa nel cammino della preghiera:

         Incontrare Dio, come figli.

Incontrato Dio come nostro Padre, bisogna imparare ad ascoltare la sua voce e quello che vuole proporci per la nostra vita.

Nella preghiera non è tanto importante quello che noi abbiamo da dire a Dio quanto quello che Dio ha da dire a noi.

Ascoltare (in ebraico “shemà”), possiamo dire che è il verbo chiave di tutta la Bibbia; questa parola è ripetuta 1100 volte nell’Antico Testamento e 445 volte nel Nuovo Testamento.

Se la preghiera non ci conducesse all’ascolto, noi resteremmo sempre alla periferia della preghiera.

L’ascolto è la ricerca umile, fiduciosa della luce, che sola può venire da Dio.

Un mistico dei nostri tempi ha lasciato scritto:

§         Quando due persone si ascoltano, si amano.

§         Quando due persone si amano,  si ascoltano.

§         Quando noi amiamo Dio, Lo ascoltiamo.

§         Quando Lo ascoltiamo, Lo amiamo.

 Abbiamo tre strade maestre, che ci conducono all’ascolto, sono:

                                                                           La parola di Dio.

                                                                           La nostra coscienza.

                                                                           Gli avvenimenti.

La prima via dell’ascolto, com’è ovvio, è la “Parola di Dio”.

Il Card. Martini, noto biblista, soleva ripetere: “Può essere che un cristiano non abbia tempo di leggere un libro, non abbia tempo di leggere un giornale, non abbia tempo di vedere la televisione, ma non è concepibile che non trovi il tempo per leggere la parola di Dio”.

Sarà pure inconcepibile … Nondimeno i cristiani, nella stragrande maggioranza, trovano il tempo per tutto, eccetto che per leggere la Bibbia!

Che non sia questa la ragione, per cui il Cristianesimo sia vissuto solo in superficie e non offra quella serenità, gioia ed amore, di cui la fede è donatrice, quando penetra il cuore e trasforma la vita?

Altra via dell’ascolto è la nostra coscienza.

Tuttavia la coscienza parla, se io sono capace di stimolarla.

Ad esempio, ponendomi delle domande come queste:

Signore sei contento della mia carità?

Sei contento di come mi comporto con la mia famiglia, con i miei amici?

O con le persone noiose?

Signore che cosa non approvi in me?

Che cosa desideri da me?......

Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta!”

La terza via dell’ascolto sono gli avvenimenti.

Ogni cosa, che mi accade nella vita sia voluta da me, sia sopportata o permessa o causata da me, triste o piacevole, racchiude un messaggio da parte del Signore, a me il compito di scoprirlo o interpretarlo ed accettarlo.

Signore dammi una sensibilità,

che sappia andare incontro ai cuori.

Signore liberami dall’egoismo,

perché ti possa servire,

perché ti possa amare,

perché ti possa ascoltare

in ogni fratello che mi fai incontrare.

Dall’ascolto nasce la nostra risposta a Dio, la quale si concretizza nell’obbedienza e nell’azione fino a maturare delle decisioni profonde, che donano all’esistenza il vero volto cristiano.

Il vertice di un ascolto attento e maturato nel silenzio è la preghiera del cuore; 

                                                                                         

Dobbiamo imparare, guidati dal maestro interiore, lo Spirito Santo, la preghiera interiore.

La preghiera interiore è come una tenue musica, che sorge dal cuore ed illumina, trasfigurandola, l’intera nostra persona.

La preghiera del cuore tende alla preghiera della santità, cioè a fare della nostra vita il capolavoro di Dio nell’adesione costante e perfetta alla sua volontà.

Ricordo mia nonna, una vita di lavoro indefesso e tribolata;  restata vedova a ventitre anni con tre figli. Quando finalmente avrebbe potuto riposarsi, muore una delle figlie, mia madre, e la nonna si ritrova con me da mantenere ed educare. Ogni mattina alle cinque e trenta è presente al mattutino delle monache e alle sette in punto inizia la sua giornata di lavoro. Mai un lamento è sorto dalle sue labbra, ma un’unica invocazione:

“Si faccia, o Dio, la tua volontà!”

Possiamo, volendo, parafrasare questa invocazione fondamentale dell’atteggiamento cristiano, così:

Padre buono che Ti contemplo nell’alto dei cieli,

in quanto ti riconosco mio Creatore.

Voglio essere la tua gioia in questo momento,

come in tutti momenti importanti o consueti

di questo giorno e di tutti i miei giorni fino all’eternità beata.

Nel compiere la sua volontà diventiamo gioia per Dio. Perché esprimiamo così il nostro amore per Lui.

Ogni preghiera in definitiva è un atto di amore a Dio.

Se lo esaminiamo con attenzione il “Padre nostro”, questa preghiera tipo, insegnataci da Gesù, è un compendio di sette atti d’amore. Anche quando chiediamo che Dio provveda il pane quotidiano, lo facciamo al plurale e certamente non lo chiediamo per noi, ne abbiamo anche troppo, molti siamo obesi; lo chiediamo per tutti coloro che non ne hanno a sufficienza: quanta gente muore di fame! Questa richiesta diventa, allora, anch’essa un atto di fratellanza, un atto d’amore.

Il percorso spirituale, al quale abbiamo accennato nelle pagine che precedono, possiamo riviverlo in quei gradi della preghiera che i maestri di spiritualità ci propongono quali modalità per comunicare con Dio e stabilire un rapporto con Lui.

Il primo e più immediato grado della preghiera è quello che in genere viene indicato come PREGHIERA VOCALE. In essa re3citiamo parole e frasi, che possono essere spontanee o selezionate dalla Bibbia.

È necessario, nondimeno, che l’orazione1 sia accompagnata da una motivazione interiore, affinché le parole non siano declamate superficialmente, ma siano assimilate così intimamente da essere davvero espressione dei nostri sentimenti.

 Dobbiamo notare che la preghiera sia essa recitazione personale, nella propria stanza, sia corale, in chiesa, può sfociare d’improvviso in uno stato contemplativo nella coscienza della presenza di Dio; poiché lo stato di preghiera, in quanto tale, è apparizione[2] davanti a Dio ed entrata effettiva nel modo di essere delle potenze spirituali, che non cessano mai d’inneggiare e lodare l’altissimo Signore del cielo e della terra.

Dunque, se l’uomo si dispone alla preghiera vocale con cuore contrito, umile nell’adorazione e con il sentimento vivo di adorazione di fronte alla Santissima Trinità, fin dal momento in cui apre se stesso alla lode, egli diventa capace ad entrare nella contemplazione dei divini misteri; allora la sua preghiera è come impregnata di calore e di purezza ed un’indicibile felicità conquista il suo cuore.

Ciò non significa che ogni preghiera vocale deve trasformarsi in preghiera contemplativa, in quanto essa già costituisce per sé un grado particolare, che possiede il proprio valore nel servizio divino e la propria efficacia nella vita spirituale dell’uomo.

 

Il secondo grado della preghiera è la meditazione che possiamo definire come un intrattenimento con Dio, in cui l’uomo fa memoria delle opere di Dio verso le sue creature e si mette a nudo davanti a Lui; si pente dei suoi peccati e delle sue mancanze; testimonia la propria gratitudine; e decide di orientare la propria condotta, unicamente  in base alla volontà di Dio.

Possiamo affermare che la meditazione è la chiave di tutte le grazie; essa conferisce a chi la pratica con assiduità e fervore pensieri, linguaggio e sentimenti evangelici.

La meditazione, attraverso la ripetizione fedele ed amorosa dei versetti della S. Scrittura, è in grado di radicare la Parola nelle profondità dell’essere, tanto che l’uomo diventa tempio del Verbo divino.

Le stesse preghiere spontanee allora avranno un puro sapore evangelico, perché provengono da un cuore traboccante della Parola di Dio.

Si può constatare, inoltre, che la perseveranza nella meditazione della Sacra Bibbia si traduce sempre in un’infusione nel cuore di vita vera; perché         la Parola del Signore è spirito e vita.

Terzo grado della preghiera è la contemplazione, qui la preghiera entra in uno stato di concentrazione non soltanto in rapporto al soggetto meditato, ma anche in rapporto all’uomo stesso: sotto il potente influsso dell’amore egli si viene a trovare in un’attività spirituale intensa, i sensi controllati, la volontà incentrata su Dio ed il cuore spiritualmente pronto ad accettare ogni mozione dello Spirito Santo.

A questo punto la preghiera è così compenetrata dal Divino e va al di là delle possibilità umane e volontarie, tanto che è difficile continuare a parlare di preghiera, sarebbe meglio parlare di “grazia della preghiera”.

All’inizio questo grado può sembrare particolarmente elevato da raggiungere, ma fin dal momento in cui l’uomo riceve la grazia di accedervi, vi si abitua, se così si può dire; e tale stato gli diventa facile, naturale e accessibile a motivo dell’opera dello Spirito Santo.

Per rimanere a tale livello di spiritualità all’uomo viene chiesto soltanto di restare costantemente in accordo con il volere di Dio nella semplicità e nella purezza del cuore, nel distacco dalle preoccupazioni e dai pensieri terreni e nella capacità di osservare i comandamenti e l’insegnamento spirituale.

È necessario, inoltre, comprendere che non esistono predisposizioni che possano conferire all’uomo il diritto a raggiungere questo elevato grado di preghiera, in quanto esso è puro dono di Dio che il Signore però desidera concederlo a tutti coloro che lo cercano con cuore puro e  con sincerità; unica condizione l’aver rotto definitivamente con l’attaccamento al peccato: ricerca  del male e ricerca di Dio non possono coesistere.

Semplificando, potremmo scoprire i tre generi della preghiera, che abbiamo cercato di esporre, nelle parole di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato” è la preghiera vocale, “Cercate e troverete” è la meditazione, “Bussate e vi sarà aperto” è la contemplazione o il punto d’arrivo.

Per concludere ricordiamo che ogni volta che facciamo un passo nella vita spirituale, nella preghiera, ci sentiamo quasi impotenti ad andare oltre e ciò sarebbe vero, se il progresso spirituale dipendesse da noi, invece esso è pura grazia divina.

L’atteggiamento giusto allora è quello dell’atleta che vuole superare sempre le proprie capacità agonistiche e noi siamo sicuri di farcela, perché all’amore di Dio nulla è impossibile e Lui ci ha mostrato il traguardo: la sua stessa perfezione!

Data l’importanza ed una certa difficoltà di assimilare questi gradi della preghiera, nei due capitoli che seguono tratteremo specificatamente della Meditazione e della Contemplazione.



[1] Con il termine orazione s’intende la preghiera vocale. Viene dal latino: os, oris=bocca. Non è necessario che nella preghiera vocale le parole debbano essere sempre pronunciate, resta tale, anche se vengano solo concepite nella mente.

[2] Nella preghiera, in genere, non è Dio che ci appare, ma siamo noi ad apparire davanti a Lui, ci poniamo alla sua presenza ed entriamo nella sfera degli angeli.

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9 luglio 2012 1 09 /07 /luglio /2012 15:56

La  Meditazione

                                                                                                

Ritengo che si debba dare alla meditazione una rilevanza particolare, essendo una forma di preghiera, che, sebbene possa, a volte, suscitare una qualche diffidenza, è molto diffusa sia nel cristianesimo sia nelle altre religioni.

cieloQuante immagini, infatti, si addensano nella nostra mente alla sola menzione del termine “meditazione”!

Prendiamo, a titolo d’esempio, quella di un monaco, rasato a zero, rannicchiato in pose, che sembrano essere state scelte apposta per essere scomode.

Forse abbiamo sentito parlare anche della “meditazione dell’ombelico”.

La meditazione, però, non ha bisogno di strane posture esteriori né bisogna passare in essa diverse ore della nostra giornata, per trarne un reale beneficio.

 

Vediamo, ora, liberando la nostra mente da vuoti pregiudizi, di scoprire realmente che cos’è, per un cristiano, la preghiera di meditazione.

La preghiera meditativa inizia con la lettura di un testo; di solito la Sacra Scrittura.

Obiettivo della meditazione è rapportare il contenuto di un brano proposto, un avvenimento, un richiamo della coscienza alla propria vita, di modo che chi prega si confronti concretamente con le proposte di un testo, la realtà concreta, i dettami del cuore.

 

Presentiamo ora tre tipi o modalità di meditazione:

 

Meditazione riflessiva - si tratta soprattutto di riflettere su un determinato oggetto, ad esempio un versetto della Bibbia, per trarne delle conclusioni, che ci serviranno per dirigere al meglio gli eventi della nostra vita  oppure per pregare. 

preghiera interiore - non ci si accontenta di riflettere, ma si vuole soprattutto parlare con…Chi prega così, ad esempio, non si limita a pensare a quello che ha fatto Gesù, ma parla con Gesù…esponendo al Signore i propri progetti, le intenzioni più riposte ma anche gli ultimi eventi, che possono averlo rallegrato o rattristato.

meditazione semplificata  - non si tratta di una meditazione più semplice come il termine “semplificata” potrebbe farci intendere.

È al contrario una forma di meditazione più alta delle precedenti. Ormai all’orante può bastare una semplice espressione, una parola, una breve frase, che egli di tanto in tanto ripete a se stesso. Ad esempio, il regno di Dio è vicino. Tutto il resto, vale a dire le domande, le riflessioni…, non viene più considerato esplicitamente.

Si può anche giungere al momento, in cui non sia più necessario dire o pensare qualcosa, in cui può bastare la consapevolezza di essere “lì”, davanti a Dio: “Eccomi, Signore, sono qui”.

     

La meditazione è preghiera ed in quanto tale possiede le caratteristiche della preghiera, solo che ciò che in essa prevale è il silenzio. Abbiamo, infatti:

 

cielo 2Silenzio esteriore,è interessata la zona periferica dell’uomo, quasi, direi, che avvolge l’uomo.        Fa parte integrante di questo silenzio, anche la postura. Per la meditazione consiglio la posizione “seduti” e, nella misura che c’è possibile, tenere la schiena, non curvata né in avanti né in dietro, ma eretta.

Il silenzio esteriore ha i suoi nemici: piccoli o grandi disagi corporali, rumori esterni, posizioni squilibrate o che avvertiamo come tali.

C’è un racconto giapponese che raffigura i nemici della meditazione a 52 piccoli guerrieri, si è vittoriosi man mano che questi guerrieri muoiono.

Silenzio interiore, man mano che ciò che sta intorno a noi disturba di meno la nostra meditazione e sempre più diventiamo coscienti di essere tempio sacro dello Spirito, ci immergiamo in un altro tipo di silenzio, che ha luogo nell’intimo di noi.

Anche in questo stadio abbiamo dei nemici: i “piccoli io” da rieducare, gli attaccamenti della nostra affettività disordinata, i problemi sorti nell’infanzia...

 

Silenzio Spirituale, è un silenzio totale, misterioso e quindi restio ad essere espresso in parole.

È un silenzio che subentra quando il silenzio esteriore e quello interiore si stanno avviando ad essere una conquista nel meditante, che ha trovato calma ed ordine in se stesso.

 

 

Allora si intuisce l’Al di là, leggiamo questi pochi versi, forse, possono farci percepire qualcosa del mistero:

                                             ...Non ti comprendono

                                             né la ruota né il centro

                                             ma al di là tu sei

                                             Infinito tutto

                                             Insondabile eterno Silenzio,

                                                  senza nome ma traboccante di nomi.

 

L’ostacolo fondamentale alla meditazione è la difficoltà ad abbandonarsi completamente in Dio. Abbandono che Gesù paragona ad una morte delle nostre vecchie abitudini, per vivere nella dimensione nuova della vera vita nello Spirito.

                                                    Se il granello di frumento caduto in terra 

                                                           non muore, esso resta solo.

                                                    Ma se muore, porta molto frutto” (Gv 12: 24).

 

“Che cosa giova all’uomo, guadagnare il mondo intero,

                                                      se perde la propria vita?”  (Mc 8: 36).

                                                   

                                                             “Chi ama la propria vita, la perde,

                                              e chi odia la propria vita in questo mondo,

                                                la conserverà per la vita eterna”  (Gv 12: 25).

 

Alcune caratteristiche della meditazione

 

 1.      La meditazione non è illuminazione, non possiamo minimamente identificare la meditazione con l’illuminazione interiore. La meditazione può soltanto creare l’ambiente adatto, affinché questa avvenga e porti frutto in noi.

L’illuminazione è un dono spirituale da parte di Dio, il quale sceglie liberamente la persona ed il tempo per concederlo.

2.      La meditazione ha il carattere dell’universalità, in quanto attraverso la meditazione si

arriva ad una unione (identificazione) con l’amore universale di Dio.A questo punto del

cammino meditativo non c’è più distinzione di religione, esiste solo Dio e la potenza dell’Amore.

A questo proposito un mistico musulmano Al-dīn Ibn ‘Arabī ci offre questa testimonianza:

“C’era un tempo nel quale io disprezzavo il mio prossimo, se la sua religione non era vicina alla mia; ma ora il mio cuore accoglie tutti, il mio cuore è come un prato spazioso per le gazzelle, un chiostro per i monaci, un tempio per gli idoli, una Kāba per i pellegrini, le tavole della Thorà ed un libro santo

3.      Il meditante diventa trasparente, vale a dire la conquista di Dio, che l’uomo ha compiuto

attraverso la meditazione traspare nella sua vita di tutti i giorni.

Non si tratta di manifestazioni verbali, ma è l’irradiazione di un’esperienza, che, per sua natura, è silenziosa. Ciò avviene anche ad insaputa del meditante.

4.      Nel meditante avviene una trasfigurazione del suo essere e del suo modo di porsi nella vita.

Le esperienze di dolore, ad esempio, che prima lo turbavano e lo sconvolgevano, ora vengono armonizzate nella calma e nella pace di un Io silenzioso.

La stessa tranquillità interiore verrà esperimentata dal meditante in mezzo anche ai successi, che per un mondano sono scopo dell’esistenza e spesso portano turbamento ed antagonismo, per il meditante sono un qualcosa di più o meno bello, che possono sì dare delle soddisfazioni, ma in qualche modo restano al di là del grande Oceano del silenzio spirituale, dove ormai scopre nuove prospettive di vita.

  

Terminiamo riassumendo in qualche battuta l’importanza

del Silenzio interiore

La preghiera-meditazione non sarà mai vera senza il silenzio che parte dall’assenza di percezione del rumore esteriore e giunge a quella tranquillità e pace, che si ha nell’essere afferrati e posseduti da Dio.

Gesù c’insegna che il silenzio più che un lusso è una condizione indispensabile per una vita, votata al servizio efficace dei fratelli.

Prima, infatti, della sua vita pubblica trascorse quaranta giorni nel silenzio del deserto; poi, quando la sua fama si diffuse e la gente si radunava per ascoltarlo ci saremmo aspettati di leggere nel Vangelo che Gesù raddoppiasse le proprie fatiche e sforzi, per donarsi sempre di più ai lavori della sua missione evangelizzatrice.

La conclusione riportata dall’Evangelista è ben diversa:

“Gesù si ritirava in luoghi deserti e pregava”  (Lc 5: 16).

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17 aprile 2012 2 17 /04 /aprile /2012 10:37

La  Contemplazione

 

Il termine contemplazione richiama immediatamente l’idea della bellezza e della elevazione spirituale.

 

Tutti abbiamo fatto l’esperienza di un intenso momento contemplativo davanti ai colori dell’aurora o al fulgore pieno   di luci di un tramonto, davanti alla notte stellata sul mare con riflessi resi vivi   dal tremolare delle onde oppure su in alto nel silenzio, a volte spettrale, di montagne, che sembrano invadere lo spazio invece sono lo spazio.

Sono esperienze che non si possono ridire, ma restano indimenticabili, perché segnano profondamente lo spirito.

 

Dunque, che cos’è, la contemplazione?

                                                 È mettere gli occhi su una realtà che attrae.

 

L’uomo, si esprimevano antichi pensatori, ha bisogno della consolazione della bellezza.

 

Tutta la bellezza disseminata nel cosmo è per noi oggetto di contemplazione e fonte di gioia. Basta, a volte, semplicemente un piccolo fiore, un uccellino, un granellino di sabbia, un cristallo di neve, una goccia di rugiada in bilico su una tremolante foglia.

 

Ognuno ha nel suo intimo una propria bellezza che lo coinvolge:

 

L’astronomocontempla gli immensi spazi, in cui si muovono armoniosamente miriadi di stelle, il contadino il suo campo di frumento che germoglia, la madre il volto del suo bambino e il bambino il sorriso della mamma, in cui legge protezione, sicurezza ed amore.

 

La contemplazione, lo sappiamo, non si limita alla sfera naturale: questa è soltanto un riflesso di quella bellezza soprannaturale, che, contemplandola, ci permette di raggiungere la pienezza della beatitudine.

 

Nella spiritualità, l’oggetto della contemplazione è Dio stesso o meglio il mistero di Dio

nella misura in cui si rivela all’uomo, il quale fissa nella Divinità il suo sguardo interiore.

Il linguaggio contemplativo si caratterizza per la sua straordinaria concisione, in quanto non è discorsivo, ma intuitivo come l’amore.

 

                             Davanti alla gloria di Dio, Dante, al quale certamente non mancavano le parole,

                             si sente impotente a proseguire: “A l’alta fantasia qui mancò possa”.

 

                             Tagore, afferrato dall’incanto della divina presenza,

                              non fa che ripetere senza fine: “Voglio Te, Te solo!

 

                              Francesco prega: Mio Dio, mio Tutto”.  

 

                              Ungaretti, nella stagione più felice della sua poesia,

                              esclama: M’illumino d’Immenso”.

 

 

               Gli sguardi di coloro che contemplano – occhi di poeti, di mistici, di artisti, di bambini –

               si incontrano là dove risplende la fonte della bellezza e dell’amore.

 

Per essere oggetto di contemplazione la bellezza deve coincidere con la bontà e con l’amore, altrimenti non tocca il cuore, non affascina, non consola, non dà gioia.

Ecco, proprio qui, si trova il segreto della contemplazione cristiana. Essa ha come oggetto il mistero ineffabile dell’Amore e della Bontà che è Dio stesso,  il quale si rivela agli uomini, non solo attraverso la Creazione ma direttamente nella persona del Figlio, che, incarnandosi e morendo, si rivela come: “Luce gioiosa della gloria, della bontà e dell’amore del Padre”.

 

Perché l’uomo guarda Dio?

Perché cerca il suo volto?

                           Perché dalla contemplazione della divinità l’uomo trae illuminazione e nutrimento spirituale.

                           “Da chi andremo che abbia parole [e realtà] di vita eterna?”

 

Sintetizzando,  possiamo quindi affermare che

 

                           La contemplazione cristiana è spingere il nostro sguardo nel mistero,

                           che è Dio, nella ricerca di un rapporto sempre più intimo con Lui.

 

La contemplazione come tutte le cose finite, ha una sua origine, un punto di partenza, un inizio: esso è il riconoscimento da parte dell’uomo del suo stato creaturale [un essere, che dall’eternità è stato pensato ed amato da Dio, nell’ambito di quel circuito di vita e di amore, che è la Trinità].

 

Si può immaginare una realtà, una dignità più grande di questa?

 

                Il Padre mi pensa.

           Il Figlio mi ama e fa scendere fino a me l’amore del Padre.

           Padre e Figlio vogliono da me glorificazione,      

           di essere riamati in quello stesso Amore,

           che lega dall’eternità il Padre al Figlio e il Figlio al Padre:

           Amore, Spirito di Dio, Spirito Santo, Paracleto, Consolatore,

           che starà con noi fino al termine dell’età presente.

 

Ora domandiamoci con sincerità: Come questo pizzico di esistenza creata, che è l’uomo, può assomigliare a Dio; è in grado di partecipare alla vita di Dio?

 

Lo fa nell’eterno Figlio, incarnato, umanizzato.

Il vero prototipo dell’umanità è Lui: Gesù.

 

“Il Primogenito di ogni creatura”

 

E noi in Lui assomigliamo al Padre, in Lui amiamo il Padre, in Lui siamo nel Padre.

 

°°°°°°°°°°°°°°°°

Un giorno un Bambino si trovava in una drogheria, quando scorge un gran sacco di caramelle, non riesce a vincere la sua voglia e, cercando di non farsi vedere, prende una caramella e la nasconde nel concavo della mano.

Il droghiere lo vede e, sorridendo, gli dice: “Prendi tutte quelle caramelle che ti stanno in mano”.

Il bambino lo guarda con i suoi grandi occhi: “Oh…allora prendile tu per me”.

Il droghiere sorpreso: “Perché?”

“Perché tu hai la mano più grande!”

                                                               °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

A volte anche a noi, come a quel bambino, ci viene la voglia di prendere una caramella, abbiamo la nostalgia di contemplare il nostro Creatore, lo facciamo quasi nascondendoci non solo dagli altri ma anche da noi stessi.

Come conciliare un atteggiamento contemplativo con la vita di oggi, della persona comune, che lavora, che studia, che vive in famiglia?

Vorrei dire che, ad esempio, quando la mattina usciamo di casa per andare a lavorare, dovremmo saperci porre questa domanda: “Perché vado a lavorare?”. E rispondere nel senso ultimo del perché vado a lavorare: Perché Iddio mi ha affidato questo compito”.

 

Questo è un atteggiamento da contemplativo; per cui anche il lavoro in un certo senso più noioso, più ripetitivo, forse, ai nostri occhi, banale, acquista un suo profilo di contemplazione proprio per la motivazione fondamentale, che regge il mio muovermi verso quel lavoro, che le circostanze della vita m’hanno offerto, e nel quale io leggo la volontà di Dio.

 

 

Gesù, alla domanda degli apostoli d’insegnar loro a pregare, rispose:

                 “Quando pregherete, direte così:

                 Padre nostro, sia santificato (glorificato) il tuo nome,

 

Questa espressione significa che si faccia in me la coscienza, una profonda convinzione, che il fine per il quale io vivo è di dare gloria a Dio.

 

                 Venga il tuo regno

 

Che il fine per il quale vivo è che io riesca ad entrare quanto più profondamente possibile in quell’amore che mi ha generato e che tende a possedermi tutto.

 

                  Sia fatta la tua volontà

 

Questa è la via attraverso la quale è glorificato il nome di Dio ed è reso possibile in noi il suo Regno. Il Regno di Dio, infatti, non è che questo: lasciarsi afferrare dal suo amore, fare in modo che ogni nostro atto sia risposta d’amore all’Amore con cui si è amati.

 

 

Contemplare è prendere totale coscienza di essere creature di Dio: dipendere fiduciosi dalla sua bontà e dal suo amore.

 

La prima via per renderci consapevoli del nostro essere creature è la via della Parola, cioè la riflessione, la meditazione, l’ascolto attento e penetrante della Parola di Dio, che ci conduce a pensare come pensa Dio, a volere come vuole Dio, ad amare come ama Dio.

Se non conosciamo il suo modo di pensare, di volere, di amare, come facciamo a vivere da figli di Dio?

 

 Ricordiamo il racconto del bambino dal droghiere, ancora ignaro, cerca di prendere una caramellina.

 

“Dammi, o Signore, la possibilità di assaporare

quanto è dolce stare nella tua tenda, nel tuo tabernacolo!”

 

All’invito del droghiere di prendere tutte le caramelle che la sua mano potesse contenere, quel bambino risponde: “prendile tu per me, la tua mano è più grande”.

 

“Parla, tu, Spirito Santo,

la tua voce è più vera, è più forte, è più penetrante.

Tu sei l’Amore increato.

Tu  puoi rendermi totale strumento di glorificazione a Dio”

 

 Il grido più vero e più totalizzante dell’uomo, che si rivolge al Creatore, è:

“Voglio essere tuo figlio!”

 

C’è in questa semplice frase: l’estrema lode, il totale ringraziamento, 

                                            la richiesta più sincera di perdono.

 

Lode,  perché riconosciamo il nostro stato creaturale, siamo creature di Dio, apparteniamo a Lui.

            La lode considerata nella luce della contemplazione della Divinità è stata espressa in maniera totalizzante ed estrema nella sua vita e nella sua preghiera da Charles de Foucauld:

“Bisogna lodare Dio. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perché l’amore è inseparabilmente unito ad un’ammirazione senza riserve. Dunque lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e d’amore. Significa ripetergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente amabile, infinitamente amato. Significa dirgli che Egli è buono e che l’amiamo”

 

Ringraziamento della creatura, la quale sente che nel Figlio unigenito di Dio, incarnato, è stata elevata ad un’altezza sorprendente: essere figlia dell’Altissimo, poter pensare a Lui come figlia, volere ciò che può desiderare una figlia, amare con l’amore di figlia.

                            Contemplando così Dio, diventa spontaneo elevare a Lui preghiere, che esprimano il nostro sentito grazie:

“Grazie, Signore, perché Tu vuoi la mia felicità. Grazie perché mi stai liberando e rinnovando con il tuo amore. Grazie per la potenza della guarigione che stai passando nella mia vita. Continua a donarmi il tuo Santo Spirito, affinché m’illumini e mi riempia con la sua grazia e la sua potenza”.

 

Perdono, richiesta di perdono, perché ognuno riconosce di essere lontano da quello che sarebbe l’ideale d’essere un figlio di Dio.

“Cantate all’Eterno, benedite il suo nome; annunziate di giorno in giorno la sua Salvezza” (Salmo 96: 2).

Se credi nella divina Misericordia, se credi che Dio sia sempre disposto a perdonarti, ogni mattina, appena svegliato, grida con forza:

Questo è il primo giorno del resto della mia vita. Mi lascio dietro le cose del passato – tutti i miei fallimenti ed i miei peccati – e vado avanti oggi, iniziando di nuovo.

Oggi è il giorno della salvezza del Signore!

 

 

              Si! La nostra mano è sempre toppo piccola.

              Ma Dio, nel suo Spirito, è sempre disponibile ad offrirci la sua mano divina.

 

 

Per la Contemplazione:

 

   *      C’è uno scoglio, la nostra presunzione.

 

  *       C’è un mezzo estremamente efficace: permettere che lo Spirito Santo contempli Iddio

           nella nostra vita, attraverso il quotidiano dell’esistere.

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15 aprile 2012 7 15 /04 /aprile /2012 12:05

Al  di   della  Preghiera

 

La vera Sapienza non è di questo mondo, in quanto viene dal Padre della gloria. La vera Sapienza, affermano già i primi scrittori ecclesiastici, è rimasta nascosta nel cuore del Padre e alla pienezza dei tempi l’ha rivelata il Signore Gesù Cristo.

 

Dopo l’incarnazione del Figlio di Dio lo Spirito Santo si effonde liberamente su ogni uomo, secondo la promessa divina del libro di Gioele[1]. Promessa ripresa da Cristo prima della sua Ascensione e pienamente realizzata il giorno della Pentecoste. Da quel giorno ogni uomo per grazia di Cristo e nel vigore dello Spirito Santo diventa capace di esprimere con i gesti della sua vita la Sapienza divina.

 

Si perché la Sapienza è un dono ineffabile, che discende in noi per l’opera insostituibile dello Spirito Santo.

 

Accenniamo subito alla sublime realtà che l’uomo inebriato dalla Sapienza divina non prega più, in quanto non percepisce più la sua alterità[2] da Dio, vive di Lui ed afferrato dalla sua potenza, appartiene ormai totalmente alla Divinità, non parla più a Dio, ma esprime le parole di Dio. Vale a dire, dona la sua voce, le sue membra alla potenza del Signore: il dialogo si spegne e dà luogo all’amore unitivo e contemplativo.

 

Chi incontra un tale uomo, incontra ormai un uomo di Dio.

 

 

Dobbiamo guardare al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio non solo come necessaria alla nostra redenzione e riconciliazione ma anche come discesa della Divinità in seno all’umanità, dando a noi, per grazia, la possibilità di incamminarci verso Dio fino a possederlo [possesso delimitato dalla nostra capacità di acquisizione] nella gloria.

 

A causa, infatti, dell’incarnazione di Cristo la natura umana è stata dotata di una capacità nuova, che si realizza in una nuova creazione (una nuova nascita). Quando questa nuova creazione (ri-creazione) raggiunge la sua pienezza, entriamo in quello stato d’unione a Dio che già gli antichi scrittori ecclesiastici esprimevano con il termine “divinizzazione”[3], perché il Figlio di Dio “divenne uomo affinché noi fossimo deificati”.

 

 

L’unione a Dio, nel momento presente, significa la continua trasformazione della nostra esistenza in una vita secondo loSpirito che noi compiamo nella  fede, ogni giorno e ogni ora, in base alla volontà di Dio e alle esigenze del Regno, proclamate dall’Evangelo.

 

 Nel decorso della nostra esposizione abbiamo ripetuto che la preghiera è arte e come ogni espressione artistica va al di là di se stessa, delle parole che la compongono, della bellezza che esprime. L’incanto della preghiera è condurci nel mondo dell’amore, dove i parametri della logica svaniscono e subentra la vera libertà, la libertà dello Spirito.

 

 

Ammiro un quadro: quelle linee, quei colori mi conducono a gustare una gioia, che è solo mia, neppure l’autore ha vissuto quei miei irripetibili momenti. Chi mi vede, vede forse un uomo diverso, reso tale dalla felicità che dona la bellezza, tuttavia non potrà mai scorgere ciò che c’è nel mio spirito né l’intensità delle mie emozioni, né io posso comunicargliele. Posso soltanto aiutarlo a saper leggere quel quadro, a scoprirne i più nascosti dettagli; ma la fruizione artistica dipende unicamente da lui, dalla sua sensibilità, da quanto ha affinato il suo cuore.

 

Posso pormi davanti a Dio in scienza e conoscenza, intravedere la sua santità e la sua bontà, sapere che Egli è la perfezione assoluta, che è al di là di tutte realtà in quanto è il Creatore dell’universo con tutti i misteri ch’esso racchiude e che cerco a fatica di svelare e comprendere.

Posso dire di Dio gli attributi più affascinanti e più veri, ma Dio può rimanere per me nel suo Cielo, anzi nel settimo Cielo. Soltanto quando la mia contemplazione addiviene fruizione artistica del mistero posso raggiungere quell’immagine di Dio, dove il bello, il giocoso, il fluido incontrano Iddio che crea.

Non c’è creazione, molteplicità di esistenze, senza la divina gioia di comunicarsi. La Creazione è la celebrazione e la condivisione della felicità divina che chiamiamo beatitudine. Iddio, che possiede l’infinita perfezione dell’essere, abbraccia anche una felicità ed una gioia assolute.

 

 

            In Dio c’è movimento e vita.

           All’interno di se stesso: la Trinità.                                              

              Al di fuori: il creato.

 

Nella nostra visione di creature Dio è principalmente un artista creativo.

Il grande simbolo di Dio non è una roccia inerte, ma una roccia che rotola e colpisce la statua dell’egoismo e la sua presenza è raffigurata nel roveto ardente di Oreb.

La beatitudine appartiene a Dio in modo supremo. Per comprendere, però, la divina felicità, il predicatore deve scendere dal suo pulpito e giocare con i bambini sul pavimento, poiché “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non potrete entrare nel Regno di Dio”     (Mc 10: 15;  Lc 18: 17).

 

L’apostolo Paolo nella 1ª lettera ai Corinzi ci parla del pensiero intimo di Dio, la perfetta sapienza che noi possiamo acquisire nella misura che i suoi Pensieri diventano sempre di più i nostri pensieri, la Verità di Dio la nostra verità, il suo Amore il nostro amore. Questa sapienza, dono dello Spirito, sorpassa talmente la nostra mente da apparire follia agli occhi dei “ben pensanti”.

Lo spirito del mondo non può incontrare lo Spirito di Dio, poiché Dio giudica anche le realtà mondane sotto l’aspetto spirituale.

Riportiamo le sublimi parole dell’apostolo:

 

“Tuttavia, a quelli tra di voi, che sono maturi,

esponiamo una sapienza, che non è di questo mondo

né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati [4];

  esponiamo, cioè, la sapienza di Dio misteriosa

 e nascosta, che Dio aveva, prima dei secoli [5],

 predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo

ha conosciuta; perché, se l' avessero conosciuta,

 non avrebbero crocifisso il Signore della gloria [6].

 

Ma com' è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì,

 e che mai salirono nel cuore dell'uomo,

 sono quelle che Dio ha preparate  per coloro che lo amano [7]».

                                                                                                 (1 Corinzi  2: 6-14).

 

La conoscenza entusiasta della realtà divina è preghiera, che, però, a questo livello supera se stessa, perché supera ogni corporeità, trascende l’uomo e la mente, entra in una meravigliosa dimensione spirituale,  nella dimensione di Dio.

 

“Tutti furono presi da stupore e glorificavano Dio;

 e, pieni di spavento, dicevano:

Oggi abbiamo visto cose straordinarie”  (Lc 5: 26).

 

Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro,

perché erano prese da tremito e da stupore;

e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura”  (Mc 16: 8).

 

Lo Spirito del Signore fu su di lui [lo investì]”

                                                     (1 Samuele 10: 10; Numeri 24: 2).

 

“La mano del Signore si posò su di me” (Ezechiele 8: 1).

 

Caddi, svenuto, con la faccia a terra” (Daniele 8: 18; 10: 9).

 

“Quest’uomo - se con il corpo o senza il corpo non lo so, lo sa Dio -

 fu rapito fino al terzo cielo” (2 Corinzi 12: 2-3).

 

“... io fui nello Spirito” (Apocalisse 1: 10).

 

In tali sublimi esperienze, l’uomo è guidato dallo Spirito Santo, la propria libertà è assorbita dalla volontà dello Spirito, tanto che egli si pone liberamente e spontaneamente sotto la sua azione e le sue straordinarie manifestazioni.

 

È probabile che qualcuno si possa domandare: perché gli ineffabili segreti divini, che riguardano la conoscenza divina e il suo amore non derivino tutti dalla percezione dell’intelletto cosciente?

 

La risposta è nella natura stessa del nostro intelletto, che nel suo esercizio è legato all’immaginazione e alla logica e di per sé non può conoscere Dio, come Egli è. Dio, infatti, non può derivare da valutazioni materiali, immaginative o logiche. Ne consegue che, affinché Dio possa manifestarsi all’uomo, è inevitabilmente necessario che l’uomo vada al di là di tutto ciò che egli percepisce attraverso la  vista, l’udito e gli altri sensi.

 

L’uomo deve trovare il suo silenzio interiore, per lasciare che Dio possa manifestarsi in lui. Possiamo chiamare questo silenzio: il silenzio dell’amore.

L’esperienza comprova che è certa la relazione tra quest’amore ardente, sovrabbondante e l’essere in Dio.

 

La grazia è all’origine di questo sublime stato dell’uomo.

 

Dio medesimo può andare alla “ricerca” dell’uomo, sorprenderlo improvvisamente e colmarlo di un’indicibile felicità e conoscenza.

 

Tenendo sempre presente il ruolo predominante della grazia si esige da parte dell’uomo spirituale un atteggiamento fiducioso alla volontà di Dio, un abbandono alla sua sovrana bontà, un completo distacco dal “mondo”[8] ed una totale rottura con il male.

 

 

“Siamo diventati, secondo le parole di Pietro,

partecipi della natura divina”  (2 Pietro 1: 4).

 

L’unione a Dio è un’espressione, che rende conto di quel che Cristo domanda per noi al Padre:

 

“Siano anch’essi in noi una cosa sola”

                                                        (Gv 17: 21).

L’unione si deve comprendere allora come integrazione, anche se solo partecipativa, “d’adozione”, delle nostre persone nell’eterno rapporto filiale, che unisce il Figlio al Padre.

 

Quello, però, che sempre dobbiamo considerare, ogni volta che parliamo di unione a Dio, è la persona di Gesù Cristo: è attraverso la nostra fede ed il nostro amore verso di Lui che l’unione a Dio può concretizzarsi in noi, in quanto Lui ha già compiuto nella sua persona l’unione della divinità all’umanità e ce la comunica nel mistero del suo amore ineffabile.

Secondo la logica ristretta al campo del razionale l’unione dell’uomo con Dio entra nell’ambito dell’impossibile, ma valutata nella prospettiva dell’incarnazione è un dato reale e un fatto fruibile nell’esperienza dell’amore.

 

L’uomo aderisce al Signore, lo loda, lo cerca, l’esprime nella preghiera, che in questo grado d’unione, diventa immancabilmente espressione dello Spirito di Dio e del suo ineffabile pensiero.

 

 

Le intuizioni dei teologi della spiritualità sono state e sono effettivamente vissute da uomini e donne, che hanno fatto di Dio il fulcro e la realtà misteriosa di tutto il loro vivere: la preghiera in loro è palpito di Dio.

 

L’uomo, giunto a queste elevate visioni spirituali, non ha altre aspirazioni che vivere nell’intima unione con Dio.

 

L’uomo spirituale cerca Dio dappertutto, anche in mezzo alle più gravi occupazioni e preoccupazioni; si unisce a Lui e gode della sua presenza.

 

 

Dunque, la fondamentale condizione, per vedere Dio faccia a faccia nella gloria e intravederlo [come in uno specchio] nella vita attuale, è la purezza del cuore. Lontani, pertanto, da ogni doppiezza, dalla minima menzogna; potremmo pure ingannare gli altri, ma certamente né Dio né noi stessi.

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Matteo 5: 8).

 

L’uomo si ornerà come la Sposa dell’Apocalisse di virtù, che lo renderanno sempre più degno dello Sposo, la sua meditazione delle verità divine diverrà sempre più affettiva e l’orante possederà l’incanto della luce, perché pregare con Gesù è entrare nello splendore del Padre.



[1] “Dopo questo avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno; i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni” (Gioele 2: 28).

[2] Non parliamo di alterità ontologica, che riguarda l’essere; ma ci riferiamo soltanto al  campo della conoscenza, l’uomo, cioè, guarda se stesso ed il mondo con gli occhi di Dio, nella misura che gli è possibile. 

[3] Per scongiurare ogni malinteso, il concetto di divinizzazione (theopoiesis) non significa trasformazione della natura umana in natura divina, ma abilitazione della natura umana a vivere in comunione con Dio in un rapporto d’amore, che, se vissuto in pienezza e sincerità, ci porta a romperla con il peccato e ci rende “santi” vale a dire “cristiani”.

[4] L’apostolo Paolo, con tutta la chiesa primitiva, era convinto che presto sarebbe venuta la fine del mondo.

[5] Prima della creazione del mondo.

[6] Con tale affermazione Paolo ci dice che cos’è in realtà questa sapienza, che sarà rivelata solo a coloro che lo amano, è l’intima conoscenza del mistero della Trinità. Se, infatti, “ i dominatori di questo mondo” avessero conosciuto questo mistero, avrebbero capito che Gesù è veramente il Figlio di Dio e sarebbe così caduta l’accusa fondamentale, per cui hanno potuto richiedere la crocifissione.

[7] Isaia 64: 3.

[8] Non vorrei che ci fosse un malinteso, per mondo s’intende la creazione in quanto inquinata dal peccato.

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15 aprile 2012 7 15 /04 /aprile /2012 10:37

Indice

 

 

Prefazione                                                        4

Introduzione                                                     8

Sete di acqua viva                                            14

Il “Padre nostro”                                             20

Preghiera - Dono di Dio                                    26

La Preghiera nel cuore dell’uomo                       30

Preghiera e Deserto                                          34

Qualità e Condizioni della Preghiera                   42

Forme della Preghiera                                       46

Gradi della Preghiera                                        56

La Meditazione                                                                         64

La Contemplazione                                                                 70

Al di là della Preghiera                                      76

 

 

                                         

____ * ____

 

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8 gennaio 2012 7 08 /01 /gennaio /2012 16:12

L’Agape

 

La Chiesa Avventista ha riscoperto uno dei momenti ecclesiali già caro ai primi cristiani: l’Agape. “Agape” non significa unicamente mangiare insieme (ciò lo fanno anche i pagani) ma è anche manifestazione di amore fraterno, di dedizione verso i fratelli meno fortunati ed espressione di lode al Signore, datore ed origine d’ogni bene.

 

L’unione fraterna, infatti, non può nel cristianesimo essere un’ideologia e, come l’amore, essa non può essere un concetto astratto. I cristiani dei primi secoli lo dimostrano incessantemente, ogni qualvolta si riuniscono nell’agape, nella preghiera e nella Santa Cena.

 

Santa Cena e Agape, spesso, vengono interpretati o usati come sinonimi di uno stesso evento o di una stessa espressione liturgica[1] e ciò soprattutto a causa di quel riunirsi da parte dei cristiani, per “partecipare ad una mensa comune”.[2] Di fatto, credo che si possa affermare, almeno per tutto il I secolo, che la S. Cena è sempre connessa ad un vero pasto,[3] in genere, compiuto di sera.

 

La liturgia, col tempo, si diversifica e l’Agape assume una tipologia propria: pasto consumato tra fratelli, per creare un rapporto reciproco di amore, cui, in seguito, viene aggiunta anche una preoccupazione assistenziale.[4]

 

Nondimeno ritengo che si possa affermare con sicurezza una indiscussa continuità di significato tra il pasto rituale, che serviva da introduzione alla S.Cena ed il pasto di carità, che prende il nome di Agape. Questo termine, coniato dalle comunità greche, vuole esprimere l’unione fraterna intorno al Kirios glorificato. È proprio del pasto dell’Amore concretizzare talmente il sentimento comunitario, fino a condividere i propri beni (o parte di essi) con i più poveri.

 

L’Agape possiamo ritenere che sia nata in terra pagana, distinta ed autonoma riguardo alla Cena. Tuttavia, benché non sia più legata alla celebrazione eucaristica, essa ne è profondamente ispirata; essa ne concretizza il significato e diventa lezione permanente di vita.

 

L’Agape vuole essere anche un’anticipazione della futura comunità messianica, quando si vivrà solo di Amore e per l’Amore e dove nessuno vivrà nel disagio o nella “di stretta”.

Accostandoci all’Agape, dobbiamo pensare ai fratelli ed alle sorelle, che possono vivere nel bisogno spirituale o materiale ed avere la coscienza di aver fatto tutto quello che è in nostro potere per sollevarli, contrariamente in questa mensa dell’Amore mangiamo e beviamo la nostra condanna.

 

Le prime generazioni cristiane sono fortemente realiste e per nulla dedite ad una visione romantica della vita e della religione come certi racconti commoventi e nostalgici vogliono farci credere.

I nostri padri nella fede, infatti, arrivano perfino a dare e cercare lavoro a chi ne sia rimasto senza, ma diventano inflessibili con gli oziosi e quelli che tentano di vivere alle spalle dei buoni, adducendo quale pretesto la carità cristiana.[5]

 

L’Agape diviene sempre di più, sia in Oriente sia in Occidente, un momento di culto totalmente distinto (non contrapposto) dalla S.Cena, con delle caratteristiche proprie: un convito, che, verso la fine del II secolo, troverà una sua peculiare organizzazione, tanto da essere un rito della vita cristiana.

 

In seguito, il carattere religioso dell’Agape viene evidenziato fin dal momento in cui i membri di chiesa, e forse anche i catecumeni, ricevono dalle mani di chi presiede l’assemblea un pezzetto di pane, che va consumato, prima di spezzare il proprio: è un gesto di accoglienza, che indica anche una richiesta di benedizione da Dio. Questo rito del pane è accompagnato da una preghiera sul calice, per ringraziare Dio dei benefici che ci elargisce, ma anche per chiedere che tutti i presenti partecipino alla mensa con purezza di cuore e senza rivalità.

 

Durante il pasto si doveva mangiare e bere con moderazione.

Si fa menzione che in alcune comunità si mangiava, restando in silenzio o parlando sommessamente.

 

“Ognuno, ci raccomanda la “Tradizione Apostolica”, deve gustare il cibo nel nome del Signore, ed a Lui è gradito che tutti siano uniti fra di loro e temperanti”[6]

 

In alcune comunità questo convito veniva celebrato verso sera e continuava per diverse ore. È difficile, forse, per noi ripetere qualcosa di simile, se non in date particolari. È interessante, però, notare il desiderio dei primi cristiani di stare insieme, di lodare uniti il Signore e di trascorrere tra fratelli ore serene, non dediti alla lussuria, ma ad una sana e gioiosa allegria.

 

Riscopriamo l’Agape, quindi, in tutta la sua interezza di culto a Dio e di amore fraterno, di aiuto ai più poveri e di testimonianza della presenza di Gesù in noi.

 

Dunque un clima religioso pervada le nostre “Agape”. Anche intorno ad una mensa i cristiani hanno occasione di distinguersi e di essere di esempio agli altri ed attuare la maggiore gloria di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

Alcune idee sull’Agape, riprese da Tertulliano:

 

-   Questo convito non consiste soltanto nel mangiare insieme, ma si tratta di una cerimonia religiosa vera e propria, che si svolge secondo un programma ben stabilito, in cui ogni gesto assume un significato particolare.

 

-   Gesti particolari dell’Agape sono: la preghiera iniziale, il canto di un Salmo o di un altro brano della Sacra Scrittura od altri testi spirituali, il sedersi, l’accendere una lampada, il parlare con moderazione, la preghiera finale.

 

-   Qualunque prezzo costi è un guadagno fare la spesa in nome della pietà.

 

-   Se il motivo del nostro pasto in comune è onesto, giudicatelo dalla disciplina che lo regola. Poiché nasce da un sentimento religioso, nessuna bassezza, nessuna intemperanza vi è annessa.

 

-   Una tavola apparecchiata diviene così luogo di culto ed espressione di carità e mostra con il proprio nome il suo scopo. Questo convito, infatti, viene chiamato con un nome greco, che significa Amore.[7]



[1] Ciò vale anche per lo “Spezzettamento del pane”  di cui a più riprese ci parla il N.T. È difficile stabilire quando questo gesto appartenga al rito della S.Cena e quando si riferisca al pasto fraterno.

[2] Epistola a Diogneto, 5: 7.

[3] Ciò lo ritengo avvalorato dal fatto che, già, nel I secolo, i cristiani usavano recitare in occasione della S. Cena delle preghiere, che parafrasavano il Birkàt Hamazon: orazioni, che, secondo la Mishna, dovevano essere dette dopo ogni pasto, consumato in comune.

[4] Ritengo conforme allo spirito dell’Agape di tanto in tanto, dove ciò è possibile, invitare i più poveri del quartiere e offrire loro un pranzo, servito dai fratelli e dalle sorelle, i quali al contempo potrebbero fare una giornata di digiuno e di preghiera.

[5] Didachè 12: 3 – 5.

   I. Giordani, Il Messaggio sociale del Cristianesimo, Città Nuova, Roma 1960.

[6] S. Ippolito, Tradizione Apostolica, 21 Funk, 2, p. 114.

[7] Tertulliano,  Apologeticum, 39: 16 – 19, Corpus Christianorum, Series Latina, 1, pp.152ss.

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  • Sono vissuto per molti anni in Turchia, per cui oltre al cristianesimo ho anche una conoscenza della religione musulmana ne amo soprattutto la spiritualità, il sufismo.
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